La dislessia tra i banchi del liceo.
Illustrazione di Tiziana Rinaldi |
"Gentilissima signora Fedrigotti, possiamo accantonare per un momento le piste ciclabili, gli scavi interminabili dei parcheggi, le ruote panoramiche, per parlare nuovamente del disagio di alunni portatori di Dsa? Nella nostra bella Milano, nei nostri rinomati licei quale è il prezzo da pagare per chi ha la sfortuna di essere dislessico conclamato? Il prezzo è quello che ragazzi normo intelligenti sono costretti a pagare perché non sono accettati da professori che non vogliono sentire parlare di dislessia poiché per loro è un intralcio. Si liquidano i genitori dicendo che il liceo «tal de' tali» ha obiettivi alti e quindi il figliolo è tagliato fuori, meglio che cerchi un altro indirizzo o un altro istituto. Dandogli praticamente del deficiente, non applicano le norme compensative (dicendo di averlo fatto) tanto chi può contraddire e contestare il loro operato? I danni che questo atteggiamento provoca sono devastanti sull'autostima che crolla miseramente, ma anche gli anni scolastici persi danneggiano la psiche dei ragazzi che si sentono prima incompresi e dopo inadeguati. I professori che disattendono l'applicazione della nuova legge vigente dovrebbero stare molto attenti poiché, prima o poi, a pagare un prezzo elevato per incompetenza saranno proprio loro. Avevo già scritto l'anno scorso, ero speranzosa, ma con l'ennesimo cambio di professori tutto è precipitato miseramente. Spero che voi come Corriere possiate fare arrivare in alto le mille voci - frustrate e impotenti - dei ragazzi che soffrono di dislessia.
Liliana
Possiamo accantonare, certo, per parlare del problema delle dislessia. Si sa, purtroppo, che una parte dei professori ancora incontra difficoltà con gli studenti che ne soffrono, scambiandola magari con poca voglia di impegnarsi, ragione per cui molti genitori sono indotti a cambiare scuola ai loro figli, in cerca di un sistema d'insegnamento diverso nonché di insegnanti che i dislessici, li sappiano, invece, accogliere e sostenere. Qualcuno trova rifugio in scuole private, altri in istituti meno rampanti. Non molti sono quelli che tengono duro là dove non c'è sufficiente attenzione per il problema. Detto questo - e il mio discorso ha carattere del tutto generale - le iscrizioni di quest'anno confermano che la corsa ai licei non accenna a diminuire. E sono di solito i genitori a imporre questa scelta che ha per unico sbocco l'università, spesso in spregio alle effettive capacità dei ragazzi. Mentre ci sono ottimi istituti tecnici e professionali dagli innumerevoli orientamenti che, tra l'altro, scongiurano lo spettro della disoccupazione meglio di vari tipi di facoltà universitarie.
Isabella Bossi Fedrigotti (ibossi@corriere.it)"
Confido nella Vostra collaborazione, affinchè questa lettera possa circolare, non per creare pregiudizio o diffidenza verso i docenti, ma perchè sia un utile spunto di riflessione per gl'insegnanti, per genitori e per gli alunni.
Questo è il mio parere, chiaramente opinabile, in quanto riflessione personale e non verità assiomatica:
"Penso che gli insegnanti debbano essere prima di tutto educatori sensibili, poi anche promotori di sapere. E' doveroso e rispettoso permettere ai ragazzi con D.S.A. l'uso degli strumenti compensativi e dispensativi, oltretutto si è "lottato" tanto per arrivare a questo traguardo. E' chiaro che la presenza in classe di un ragazzo con D.S.A. costringe il docente a rivedere alcune modalità didattiche, ma chi sceglie il mestiere di docente deve essere consapevole che gli studenti non sono tutti uguali ed ognuno ha i suoi modi di apprendere, una differente sensibilità, interessi diversi.
E' giusto che qualora un ragazzo non dovesse essere portato o non avesse interesse nei confronti del liceo, il genitore non lo spinga a frequentarlo (ma questo rientra nell'ambito del rispetto dell'individualità), però la discriminante a mio avviso non deve essere l'avere un D.S.A. o non averlo."
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