Vite tra le sbarre: una piccola riflessione.


"Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni." Fedor Michajlovic Dostoevskij

Il 22 agosto le carceri italiane sono state nuovamente teatro di morte, questa volta la scena del delitto è stato il carcere di Parma. Dall'inizio del 2010 ben 42 detenuti, di età compresa tra i 22 ed i 65 anni, hanno scelto di togliersi la vita impiccandosi o inalando gas.
Carceri notoriamente sovraffollate, guardie carcerarie numericamente insufficienti rispetto alle reali esigenze e non opportunamente formate, insieme alla scarsa assistenza sanitaria e psicologica, sono le ragioni che contribuiscono a spingere alcuni detenuti a togliersi la vita.
Uomini che vivono ogni giorno in condizioni poco decorose, stretti in un universo dove talvolta i diritti civili sembra abbiano perso valore, dove le persone più fragili scelgono di rinunciare anche alla promessa della libertà.
Queste cifre non possono lasciarci indifferenti, è tempo di porci delle domande, di riflettere, sospendendo ogni giudizio o pregiudizio. Qual'è la funzione sociale di un carcere? Un luogo di inclusione per gli esclusi, un modo per parcheggiare gli indesiderabili (non abbiamo la pena di morte), una punizione per chi ha sbagliato (come quando si mandano in castigo i bimbi, ma proprio come avviene per i bimbi, il castigo perde significato se non è accompagnato dall'educazione) oppure il carcere è una struttura fondamentalmente riabilitativa?

Art. 27 della nostra Costituzione “Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”

Commenti

  1. Si, cara Nadia, hai fatto centro pieno. La situazione carceraria italiana rispecchia fedelmente il grado di civiltà della società italiana. La cosa più impressionante, a parte le tue considerazioni che condivido completamente, è che abbiamo attualmente una classe dirigente al governo talmente bacchettona da non consentire i matrimoni omosessuali, ma gli stupri omosessuali (per forza non essendoci promisquità di genere) in carcere quelli si senza alcuna remora, abbiamo un governo talmente bacchettone da riempire le carceri anche per un uso personale della marijuana, se ce la coltiviamo in balcone, ma che non si preoccupa assolutamente del commercio indisturbato anche delle droghe più pesanti nelle nostre carceri (lo spaccio di droga in carcere è praticamente libero), e soprattutto abbiamo una serie ininterrotta di suicidi che passano assolutamente sotto silenzio (prima questo avveniva anche nell'esercito quando la leva era obbligatoria), mentre un furto semplice (in senso tecnico, anche se in Italia è previsto, ma solo in teoria, perchè al minimo si applica sempre l' art.624 C.P.) in una villetta assurge sempre agli oneri delle cronache.
    Non conosco modalità per cambiare le cose se non si cambiano prima i governi; anche interventi mirati educativi nelle carceri sono molto complessi da realizzare; forse l'unica alternativa percorribile è di tirar fuori il maggior numero possibile di detenuti con iniziative esterne di recupero e lì in un ambiente idoneo cercare anche un recupero educativo e una riqualificazione.
    Ancora tutti i miei complimenti per i tuoi spunti di riflessione, sempre interessantissimi e pertinenti.
    Un abbraccio, tuo ro.

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  2. Grazie Ro,
    mille grazie per aver commentato e per quello che hai scritto.
    Speriamo partecipino anche altre persone, iniziare a parlare delle cose, non è come fare....ma è comunque un inizio per comprendere i problemi e per orientare le nostre scelte ed azioni.
    Nadia S.

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  3. Carceri..triste realtà.
    E' fondamentale la sua funzione sociale e di aggregazione. Il detenuto dovrebbe esser recuperato ed educato innanzitutto ad un reinserimento sociale partendo dai suoi primari interessi come: il lavoro e le attività ricreative ed educative. Questo per non sentirsi un soggetto escluso ed un rifiuto della società.
    Credo che ci sia bisogno di più controlli e di personale competente che faccia il proprio lavoro con una corretta formazione ma che sia anche seriamente motivato.

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  4. Carceri..triste realtà.
    E' fondamentale la sua funzione sociale e di aggregazione. Il detenuto dovrebbe esser recuperato ed educato innanzitutto ad un reinserimento sociale partendo dai suoi primari interessi come: il lavoro e le attività ricreative ed educative. Questo per non sentirsi un soggetto escluso ed un rifiuto della società.
    Credo che ci sia bisogno di più controlli e di personale competente che faccia il proprio lavoro con una corretta formazione ma che sia anche seriamente motivato.
    Alessandra V.

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  5. Penso che i problemi vadano separati:
    1) rieducazione e pena detentiva;
    2) necessità della pena detentiva e confonto con quelle non detentive;
    3) differenza tra pena da scontare e custodia in carcere cautelare prima del giudizio.
    Solo separando i problemi possiamo fare un sereno commento.
    Riprendo:
    1)la rieducazione presuppone strutture educative per favorive la metamorfosi ontologica ed etico/morale della persona. Queste non ci sono, e quelle poche figure presenti sono fortemente istituzionalizzate che fanno fatica a riprendere la loro identità di educatori. Quindi nessuna funzione rieducativa è reale. Lo stato sta fallendo nnela propria missione. Scusate: la società civile sta fallendo.
    2)le pene non detentive permettono una maggiore rieducazione, ma vengono ostacolate dalla Legge, non dai Giudici che la applicano. La Legge la fa il Parlamento e quindi è una questione di scelta elettorale. Il penale, però, è bello. Chi uccide la compagna, ad esempio, o il marito .. o i vicini di casa ... deve (per una forte opinione pubblica) "morire in galera pane ed acqua". Quindi la politica è populista e non interviene se non costruendo nuove carceri. P.S- Nuove carceri che, quando sono aperte, soono vuote per mancanza di assunzione di personale della polizia penitenziaria.
    3)il penale è bello e spettacolare: ed allora tutti in galera. Se poi ci vanno personaggi noti ancora meglio ... Lo spettacolo è garantito. Le forze di polizia soddisfatte e premiate, il governo si autoelogia, i Magistrati vannio in Tv (o in politica). Invece il carcere dovrebbe essere l'ultima soluzione. Mai la prima.
    Vincenzo Longo Rovigo

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  6. Grazie Vincenzo!!! :)
    Nadia S.

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  7. Avete mai visto lo spettacolo teatrale "L'isola" di Fugard? Ci sono stata proprio qualche mese fa quando qui a Brescia c'è stata una campagna di sensibilizzazione sulle condizioni carcerarie. Il rappresentante dell'ONU invitato a tenere un breve discorso ha esordito proprio con la citazione che riporta Nadia... E' stato toccante, parlarne è importantissimo, cambiare le cose difficile, bisognerebbe appunto cambiare la società. In attesa dei grandi cambiamenti mi auguro che ognuno di noi si sforzi di lavorare su se stesso. Sinceramente mi sconcerta molto il commento di Ro....giustifica lo stupro??? Mi sento offesa poi dal suo commento sul "semplice furto in una casa", io l'ho subito, non è stato bello vedere la propria casa violata, subire un furto non è "semplice". (tra l'altro qui nella mia zona succedono di continuo e nessun giornale ne parla, vengono riportati solo quelli che sfociano nella violenza) Una società giusta deve anche prevedere che queste cose non accadano, deve prevedere regole e strumenti per farle rispettare, chi sbaglia è giusto che paghi, la pena però deve essere quella giuridicamente prevista, non un supplizio, non una ingiustizia. Sicuramente le carceri devono avere anche un ruolo rieducativo ma mi chiedo se sia effettivamente possibile...più che altro mi chiedo se si possa riabilitare chi non vuole esserlo...ovvio che se non si offre neanche la possibilà... Aggiungo anche che una società giusta deve prevedere la certezza del diritto e della pena, entrambe oggi mancano
    Eleonora

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  8. Grazie Eleonora.
    Nadia S.

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  9. La legge italiana, e in quanto a leggi ne facciamo di tutti i colori, ancora diversi anni fa ha istitito la figura del Garante dei Detenuti. Mi sembra che il Sindaco della città nella quale è presente un carcere, dovrebbe nominare questa figura a ttela della deignità e della salute di chi è privato della libertà personale (carcerato) in realtà di operativi, in quanto nominati, credo ce ne siano poche decine in tutta Italia.
    Non entro nello specifico della questione ma faccio una considerazione, sto notando sempre più spesso come ci siano delle straordinarie analogie tra le le leggi che governano il mondo fisico e quelle che governano i fenomeni psicologici, anropologici e sociali. Bene una delle più banali leggi della meccanica dice che la cpacità di tenuta di una catena dipende dalla capacità di tenuta dell'anello più debole.
    @ Eleonora: come fai a sapere che ci sono delle persone che non vogliono essere riabilitate?

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  10. @ Daniele:
    fino ad oggi nella mia vita ne ho incontrate tante di persone che non vogliono essere aiutate...non le conoscerò mica tutte io!!! :-)

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  11. Grazie a tutti perchè state partecipando al dibattito e dite tutti cose interessanti.
    Circa le persone che non vogliono essere aiutate: è vero che è difficile aiutare chi non vuole essere aiutato, però a volte non è che la gente non voglia davvero essere aiutata, certe volte ha paura del cambiamento, di mettersi in gioco.
    Secondo me se il carcere vuole essere, come dovrebbe essere, una struttura rieducativa, il personale educativo e gli psicologi del carcere devono stimolare il bisogno di cambiare, proprio nei detenuti che paiono più "resistenti" al cambiamento, la curiosità verso alternative di vita. Se una persona ha sempre conosciuto la delinquenza o la violenza,come unica modalità relazionale, magari sin dall'infanzia, è possibile che consideri solo quella. Lo so che non è semplice, però le persone hanno diritto ad avere una nuova possibilità, poi certo il risultato non ci sarà con tutte, ma anche fosse una persona ogni cento...è sempre una persona in più che decide per una nova vita.
    Nadia S.

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  12. In questi giorni ho ripensato proprio alle persone che conosco che sono state in carcere. Quelle che conosco sono quasi tutte persone "normalissime", vissute e cresciute dove sono cresciuta io, hanno una famiglia alle spalle come la mia, hanno un lavoro e una vita "normale"....mi chiedo perchè hanno scelto di fare qualcosa che sapevano essere sbagliato? Non è però l'argomento su cui stiamo dibattendo... Vorrei porre all'evidenza una cosa: il carcere secondo me non può essere SOLO una struttura rieducativa, è innanzi tutto la pena prevista per un determinato rato. La Costituzione recita che le pene devono TENDERE alla rieducazione. Se fosse SOLO una struttura riabilitativa allore la permanenza in essa dovrebbe essere legata ai tempi e all'andamento della rieducazione e non alla gravità del reato commesso e alle relative aggravati e attenuanti. Ci sono permanenze in carcere che non potrebbero neanche volendo prevedere un percorso di riabilitazione, penso ci sono persone che non necessitano di riabilitazione, fuori dal carcere le attende la loro vita che ha subito solo uno stop in conseguenza di un errore commesso che è giusto pagare. In ogni caso il disagio che i detenuti oggi vivono va ben al di là della possibilità di trovare una alternativa, verte su diritti molto più elementari e immediati

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  13. Per quanto concerne le famiglie dei tuoi amici ex detenuti, non puoi sapere bene come sono le loro famiglie nemmeno se le hai frequentate, anche perchè non le hai "vissute" costantemente e da figlia, a volte nelle famiglie ci sono dinamiche molto complesse e inimmaginabili dall'esterno.
    Sebbene qualcuno mi direbbe che non tutto deve avere un senso, io credo che la pena come le punizioni debbano pur servire a qualche cosa.
    Per quanto concerne gli ergastolani, diciamo che il sistema giudiziario, forse giustamente, dà l'ergastolo, perchè non c'è più la pena di morte. Ma si è colpevoli in eterno?
    Concordo con te che per quanto una persona sia colpevole, in una società civile, è inammissibile che non venga rispettata nei suoi diritti.
    Nadia S.

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  14. "Qual è la funzione sociale di un carcere?"

    La risposta a tale domanda riflette l'interpretazione che si dà della funzione special-preventiva della pena.
    Uno degli obiettivi fondamentali della sanzione, cioè, è quello di indurre il reo a non delinquere ulteriormente in futuro. Ma come perseguire tale obiettivo?
    Il metodo più rudimentale consiste nella segragazione del soggetto. Chi ha commesso un reato è estromesso dal tessuto sociale, come se ne fosse non già un membro ma un corpo estraneo.
    Tale strategia però ripugna alla sensibilità contemporanea, che impone riguardo per i diritti dell'individuo oltre che per l'ordine pubblico. L'art. 27 comma 3 della nostra Costituzione sancisce espressamente che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
    Tendere, non imporre: al reo deve essere offerta la possibilità di recupero, ma non possono essere imposti trattamenti lesivi della sua identità, nemmeno a fini di risocializzazione (pensiamo a uno scenario da "Arancia meccanica"). Cito questo aspetto visto il tema introdotto da Eleonora.

    Fin qui gli alti principi. Ma la realtà corrisponde a quanto auspicato dai padri costituenti? Le cronache raccontano il contrario; Nadia ha già efficacemente illustrato il problema, per cui non mi dilungo a ripeterlo.

    "Pene più severe" vengono sbandierate dagli schieramenti politici a fini di campagna elettorale, non già perché davvero scoraggino il diffondersi della criminalità (gli studi hanno dimostrato che, al di sopra dei due anni per il cittadino comune e dei tre per il delinquente professionale, l'aumento della pena non incrementa in modo significativo la sua efficacia deterrente), né tantomeno perché ciò serva alla rieducazione del condannato; l'obiettivo è solo quello di compiacere gli appetiti vendicativi e blandire le angosce dell'elettore, cui ci si rivolge (a torto o a ragione) come fosse un ragazzino non troppo intelligente, parlando ai suoi istinti e non al suo intelletto.

    Il carcere torna a essere luogo di rimozione. Se chi ha sbagliato è solo un soggetto da "togliere di torno", ciò che avviene entro quelle mura perde di interesse.

    Colgo l'occasione per menzionare uno degli aspetti meno dibattuti - ma non meno inquietanti - della famigerata "ex Cirielli" (l. 5 dicembre 2005, n. 251); essa, se da un lato introduce condizioni in materia di prescrizione favorevoli ai delinquenti "dai colletti bianchi", inasprisce e i termini prescrizionali e i criteri di commisurazione della pena in capo al recidivo, che è tipicamente il soggetto che vive ai margini della società. In applicazione di tale norma, un quarantenne è stato condannato a tre anni di detenzione del Tribunale di Napoli per il furto di un pacco di biscotti del valore di 1.29 euro.

    Si viene a creare un doppio binario: una giustizia penale indulgente verso chi è già privilegiato, che in tal modo resta estraneo alla realtà della detenzione, e un mondo carcerario sempre più ricettacolo dei reietti, di cui la politica non si interessa e i cui diritti sono facilmente dimenticati.

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  15. ...Il post qui sopra è di Chiara Buffon, che si è dimenticata però di firmarsi ;).

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  16. Bello il tuo intervento Chiara...mi piace molto... Nel caso che citi non escludo un orrore giudiziario (non ho sbalgiato a crivere...intendevo proprio orrore). Purtroppo i giudici non sono la crema di questa società, ne sono degni rappresentanti pure loro e troppo spesso svolgono il loro lavoro in modo sommario, negligente, a volte condito con un bel po' di ideologia, fortunatamente non tutti. Il carcere oltre un certo limite non funzione....mi chiedo quali possano essere le alternative a pene detentive? La pena deve anche garantire un senso di giustizia, le vittime e la società in genere non devono essere indotte a pensare che la giustizia non esista, che la si debba fare da se... Giusto per precisione per quanto ricordo dai miei studi l'ergastolo a vita in Italia non esista (potrei sbagliarmi), l'ergastolo mi pare corrispondere a una pena di 30 anni, dopo 20 si ottiene normalmente la semilibertà.

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  17. Eleonora, i giudici talora sbagliano, ma in quel caso (almeno da quello che ho letto) il problema era nella legge, che impediva nelle date condizioni di tener conto delle circostanze attenuanti. Il giudice non può, in nome del suo senso di giustizia, ignorare la legge scritta; per quanto possa dare fastidio, pensa a cosa accadrebbe nel caso opposto - ognuno è portatore delle sue proprie convinzioni, il diritto deve garantire un criterio certo e prevedibile. In questo caso è la legge stessa ad essere il problema.
    Chiara B.

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  18. Non conosco il caso in questione, non mi stupirebbe fosse come dici ma tengo a precisare una cosa: la legge non va semplicemente applicata ma interpretata ed è lì che ognuno ci mette del suo nel bene e nel male.

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